Gaspare Celio scrive un medaglione biografico di Barocci
Archival Unit
123
Start Date
1614
End Date
1640
Chronology
XVII sec.
Authors
Content
post 1614-ante 1640
Commento
Il pittore romano Gaspare Celio (1571-1640) nel manoscritto del suo Compendio delle Vite di Vasari con alcune altre aggiunte, redatto all’incirca dal 1614 alla morte (Gandolfi in Celio 2021, p. 26), include un medaglione biografico di Barocci (Celio 2021, pp. 294-296), che si innesta sulla men-zione del pittore urbinate nelle Vite vasariane del 1568 (vedi), qui riportata tra parentesi quadre.
Celio riferisce come fosse voce corrente la notizia del discepolato di Barocci presso il «Genga», da identificare verosimilmente in Bartolomeo Genga (vedi l’orazione funebre di Venturelli, post 1 ottobre 1612 e Bellori 1672). Mentre Borghini nel 1584 (vedi) si era limitato a raccontare che Barocci si era ammalato a Roma al tempo dei lavori nel Casino di Pio IV e in Belvedere, Celio è il primo a precisare che egli era stato avvelenato per rivalità, informazione poi ripresa da Baglione 1642 e da Bellori 1672 (vedi). Celio, che era stato attivo per qualche anno a Parma dopo la morte di Agostino Carracci nel 1602 (Gandolfi in Celio 2021, pp. 14-15), attesta con chiarezza un viaggio parmense di Barocci, dando così sostanza alle circostanze del suo impatto con l’opera di Correggio, solo genericamente evocato dalle fonti precedenti (per Lomazzo vedi 1584), e poi diversamente narrato da Bellori (vedi 1672). Il medaglione di Celio si in-centra sui dipinti di Barocci visibili a Roma. L’apprezzamento delle sue qualità di frescante deve infatti dipendere dalla conoscenza delle decorazioni eseguite per Pio IV in Vaticano. Segue il ricordo delle tre grandi pale romane: la Visitazione e la Presentazione della Vergine al Tempio in Santa Maria in Valli-cella e l’Istituzione dell’eucarestia nella cappella Aldobrandini in Santa Maria sopra Minerva. L’autore segnala poi a Perugia il Riposo nella fuga in Egitto eseguito per Simonetto Anastagi (vedi 1570, febbraio) e alla sua morte nel 1602 passato nella chiesa dei Gesuiti (oggi Pinacoteca Vaticana), per la quale Celio lo riteneva eseguito, e la Deposizione nel duomo.
Celio si mostra inoltre ben informato sul ruolo del duca di Urbino quale moderatore delle commissioni avanzate a Barocci, e per primo racconta il celebre aneddoto secondo cui egli equiparava alla musica l’accordo tra i colori ricercato nella propria pittura, poi rilanciato con successo da Bellori (vedi 1672). La morte di Barocci viene collocata dal biografo nei suoi ottantacinque anni di età, indicazione conforme a quella trasmessa poi da Baglione (vedi 1642) e da Bellori (vedi 1672), ma erronea (vedi qui 1533 circa). Ribadita l’aspirazione di Barocci a imitare Correggio, Celio conclude il medaglione richiamando l’attività di Barocci come autore di acqueforti e l’ampia divulgazione delle sue opere attraverso le stampe eseguite da diversi incisori. Questo medaglione è tra le principali fonti messe a frutto da da Baglione (vedi 1642) e da Bellori (vedi 1672). [Barbara Agosti]
Trascrizione
«Federico Barocci d'Urbino pittore. Dicono che fusse discepolo del Genga. [Dipinse in Roma nel palazzo del bosco del Belvedere in Vaticano, e nelle stanze vicine] al luogo dove sono le statue, [dove ancora dipinsero Taddeo e Federico Zuccari]. Diedero al Barocci per ammazzarlo, alcuni pittori una composizione nel mangiare insieme all'osteria, ma agiutato non ne morì, ma ne restò di modo che per tutta la vita, nella digestione mandava fuora il cibbo. Andò a studiare a Parma dalle opere del Correggio. Ebbe a fresco, et ad olio delicata maniera, con credito grandissimo. In Roma sono le sue pitture. Nella Vallicella doi: la Visitazione di santa Elisabetta, e la Presentazione della Madonna al tempio. E nella chiesa della Minerva la Communione generale. Fece per Perugia alli padri gesuiti la Madonna che va in Egitto, et altrove il Calamento di croce, et altre pure bellissime in altri luoghi. Ma li signori che volevano opere da lui ne scrivevano al duca, poi ch’esso abbitava in Urbino, e non dipingeva, per alcuno se il duca non gle lo comandava, il quale tal volta visitando Federico gli adomandava che faceva, et il Barocci rispondeva: 'sono intorno ad accordare questa musica', essendo sempre attento che li colori non uscissero alla vista del suo luogo. Fu più gran coloritore che disegnatore, era tardo nel di-pingere, cagione della malatia incurabile. Ebbe doi fratelli, che fabricarno instrumenti mattematici, di modo che avvantaggiorno tutti li altri, con farli pagare oltre modo, et Federico si fece pagare, non quanto meritava, ma bene. Si morì in Urbino, dicono di ottanta cinque anni. Si vede nelle opere che desiderò immitare il Correggio, amorassissimamente. Intagliò benissimo all'acqua forte, et vanno alla stampa molte sue opere intagliate con il bulino da diversi intagliatori, che ancora che non mostrino la tenerezza del fare, mostrano il bel componimento e la professione del valor suo».
Commento
Il pittore romano Gaspare Celio (1571-1640) nel manoscritto del suo Compendio delle Vite di Vasari con alcune altre aggiunte, redatto all’incirca dal 1614 alla morte (Gandolfi in Celio 2021, p. 26), include un medaglione biografico di Barocci (Celio 2021, pp. 294-296), che si innesta sulla men-zione del pittore urbinate nelle Vite vasariane del 1568 (vedi), qui riportata tra parentesi quadre.
Celio riferisce come fosse voce corrente la notizia del discepolato di Barocci presso il «Genga», da identificare verosimilmente in Bartolomeo Genga (vedi l’orazione funebre di Venturelli, post 1 ottobre 1612 e Bellori 1672). Mentre Borghini nel 1584 (vedi) si era limitato a raccontare che Barocci si era ammalato a Roma al tempo dei lavori nel Casino di Pio IV e in Belvedere, Celio è il primo a precisare che egli era stato avvelenato per rivalità, informazione poi ripresa da Baglione 1642 e da Bellori 1672 (vedi). Celio, che era stato attivo per qualche anno a Parma dopo la morte di Agostino Carracci nel 1602 (Gandolfi in Celio 2021, pp. 14-15), attesta con chiarezza un viaggio parmense di Barocci, dando così sostanza alle circostanze del suo impatto con l’opera di Correggio, solo genericamente evocato dalle fonti precedenti (per Lomazzo vedi 1584), e poi diversamente narrato da Bellori (vedi 1672). Il medaglione di Celio si in-centra sui dipinti di Barocci visibili a Roma. L’apprezzamento delle sue qualità di frescante deve infatti dipendere dalla conoscenza delle decorazioni eseguite per Pio IV in Vaticano. Segue il ricordo delle tre grandi pale romane: la Visitazione e la Presentazione della Vergine al Tempio in Santa Maria in Valli-cella e l’Istituzione dell’eucarestia nella cappella Aldobrandini in Santa Maria sopra Minerva. L’autore segnala poi a Perugia il Riposo nella fuga in Egitto eseguito per Simonetto Anastagi (vedi 1570, febbraio) e alla sua morte nel 1602 passato nella chiesa dei Gesuiti (oggi Pinacoteca Vaticana), per la quale Celio lo riteneva eseguito, e la Deposizione nel duomo.
Celio si mostra inoltre ben informato sul ruolo del duca di Urbino quale moderatore delle commissioni avanzate a Barocci, e per primo racconta il celebre aneddoto secondo cui egli equiparava alla musica l’accordo tra i colori ricercato nella propria pittura, poi rilanciato con successo da Bellori (vedi 1672). La morte di Barocci viene collocata dal biografo nei suoi ottantacinque anni di età, indicazione conforme a quella trasmessa poi da Baglione (vedi 1642) e da Bellori (vedi 1672), ma erronea (vedi qui 1533 circa). Ribadita l’aspirazione di Barocci a imitare Correggio, Celio conclude il medaglione richiamando l’attività di Barocci come autore di acqueforti e l’ampia divulgazione delle sue opere attraverso le stampe eseguite da diversi incisori. Questo medaglione è tra le principali fonti messe a frutto da da Baglione (vedi 1642) e da Bellori (vedi 1672). [Barbara Agosti]
Trascrizione
«Federico Barocci d'Urbino pittore. Dicono che fusse discepolo del Genga. [Dipinse in Roma nel palazzo del bosco del Belvedere in Vaticano, e nelle stanze vicine] al luogo dove sono le statue, [dove ancora dipinsero Taddeo e Federico Zuccari]. Diedero al Barocci per ammazzarlo, alcuni pittori una composizione nel mangiare insieme all'osteria, ma agiutato non ne morì, ma ne restò di modo che per tutta la vita, nella digestione mandava fuora il cibbo. Andò a studiare a Parma dalle opere del Correggio. Ebbe a fresco, et ad olio delicata maniera, con credito grandissimo. In Roma sono le sue pitture. Nella Vallicella doi: la Visitazione di santa Elisabetta, e la Presentazione della Madonna al tempio. E nella chiesa della Minerva la Communione generale. Fece per Perugia alli padri gesuiti la Madonna che va in Egitto, et altrove il Calamento di croce, et altre pure bellissime in altri luoghi. Ma li signori che volevano opere da lui ne scrivevano al duca, poi ch’esso abbitava in Urbino, e non dipingeva, per alcuno se il duca non gle lo comandava, il quale tal volta visitando Federico gli adomandava che faceva, et il Barocci rispondeva: 'sono intorno ad accordare questa musica', essendo sempre attento che li colori non uscissero alla vista del suo luogo. Fu più gran coloritore che disegnatore, era tardo nel di-pingere, cagione della malatia incurabile. Ebbe doi fratelli, che fabricarno instrumenti mattematici, di modo che avvantaggiorno tutti li altri, con farli pagare oltre modo, et Federico si fece pagare, non quanto meritava, ma bene. Si morì in Urbino, dicono di ottanta cinque anni. Si vede nelle opere che desiderò immitare il Correggio, amorassissimamente. Intagliò benissimo all'acqua forte, et vanno alla stampa molte sue opere intagliate con il bulino da diversi intagliatori, che ancora che non mostrino la tenerezza del fare, mostrano il bel componimento e la professione del valor suo».
Archivist's notes
Bibl. R. Gandolfi, Le Vite degli artisti di Gaspare Celio. «Compendio delle Vite di Vasari con alcune altre aggiunte», Firenze 2021.
Physical type
Foglio
Preservation status
Buono
Language
Italiano
Project
Keywords
Barocci
Bartolomeo Genga
Taddeo Zuccaro
Federico Zuccaro
Correggio
Francesco Maria II della Rovere
Simone Barocci
Giovanni Maria Barocci
Project